Il direttore della Caritas Intemelia, Christian Papini, racconta la situazione dell’associazione in rapporto alla chiusura del Campo Roya, dell’emergenza Covid e dei migranti di passaggio.
“Un lunedì mattina come tanti. Ci sono già trenta gradi e arrivo davanti al cancello della Caritas, dove lavoro da 19 anni. Scendo dalla macchina per aprire il cancello. Mi sembra di trovarmi un muro di gomma davanti. Sulla destra vedo una fila di ragazzi e adulti: slavi, italiani, pakistani, afgani, algerini, iracheni, marocchini, gambiani, somali, sudanesi ecc. Suor Maria, con la pacatezza e il senso di accoglienza che le appartiene, misura la temperatura ad ognuno e distribuisce le mascherine a chi non le ha. Entrando nel parcheggio alzo lo sguardo e Sandro dalla finestra della cucina mi saluta. Scendo dalla macchina mentre Rama e Manuela cercano di ricordare a trenta persone che attendono un pasto di mantenere la distanza di sicurezza mentre si sta in fila. Mentre salgo le scale per entrare in sede, Monica, che sta riempiendo bottigliette d’acqua mi saluta. Dentro ci sono già due persone in fila per accedere all’ascolto per rinnovare i punti della scheda Emporio e per chiedere un aiuto per il pagamento di un’utenza. Suor Alberta e Suor Savarhii stanno preparando l’Ambulatorio Medico. Alle 10 arriverà il medico e ho visto entrando che già cinque persone si sono prenotate.
Un lunedì mattina come tanti ma quello che vedo mi preoccupa. Lo Sportello migranti (Caritas intemelia, Diaconia Valdese, WeWorld) è saturo di richieste: rinnovi e conversioni, richieste asilo, consulenza legale, orientamento al lavoro, supporto psicologico. Alessandra e Sonia continuano a fare un colloquio dietro l’altro (uno dei pochi sportelli operativo da Ventimiglia a Imperia è il nostro!!). Alle 11 prendo il caffè e Jacopo mi aggiorna sull’attività di Outreach. Arrivano sempre più persone, anche nuclei familiari con bambini e ciò che colpisce di più è la stanchezza, la paura che si portano dentro. Molti hanno fatto la rotta Balcanica e sono rimasti bloccati durante il lock-down. Non hanno voglia di parlare, vogliono solo arrivare. Concludere un viaggio indegno che li ha portati a contatto con persone che vedono in loro solo un problema. Non ne riconoscono l’umanità, non ne riconoscono l’autodeterminazione.
Mi squilla il telefono è il “buon Barella”. Portare avanti il Progetto di teatro “la compagnia degli amici di Enrica” richiede molto impegno. Trovare i fondi, organizzare gli spettacoli (quest’anno la vediamo difficile e stiamo pensando di fare un cortometraggio).
Mi rendo conto che, con la chiusura del Campo Roya lo stato è nuovamente latitante e delega al Terzo Settore la gestione di un fenomeno che oramai è storico. Ma come possiamo noi, senza aiuti, gestire le esigenze di persone che sono sfiancate da mesi, se non anni di viaggio? Che pensano di essere arrivate in Europa ma in realtà sono arrivate in Italia? Un’Italia stremata dal Lock-down. Da un’iperburocratizzazione che ritarda gli aiuti se non arriva a negarli.
E noi ne sappiamo qualcosa: durante il Lock-down siamo rimasti aperti e abbiamo aiutato centinaia di nostri concittadini in difficoltà (affitti-utenze-buoni pasto-farmaci ecc..).
Ecco perché sono preoccupato: il nostro tessuto sociale è stremato, impaurito e la scelta dello Stato di chiudere il Centro di accoglienza del Parco Roya ha comportato che le persone in transito, come già avvenuto nel 2016, da più di tre mesi hanno ripreso a dormire lungo il Roya o sulla spiaggia. I cittadini, i commercianti iniziano a lamentarsi. La manipolazione dell’informazione colpisce, facendo credere che il Covid è portato da queste persone (al momento i dati dicono l’esatto opposto).
E lo Stato è tornato ad essere latitante… anzi, a lasciare sulle spalle delle Forze dell’Ordine una situazione che, come è stato dimostrato negli anni scorsi, può essere invece gestita efficacemente dando priorità all’accoglienza ed alla solidarietà (nell’attesa che la Francia e L’Europa si ricordino della fraternité…)”.