All’interno della rassegna Spazivisivi 2018, nella ritrovata cornice del Forte di Santa Tecla, polo museale della Regione Liguria, è stato conferito da parte del Comune di Sanremo e dalle mani dell’Assessore Eugenio Nocita con la partecipazione di Maurizio Garofalo, il premio “Leone alla carriera”. Ennesimo riconoscimento per uno dei fotografi italiani più rappresentativi nel panorama internazionale. Ivo Saglietti appartiene a quella “nobile schiera” di fotografi per i quali è importante partecipare emotivamente, quasi empaticamente, alla realtà che stanno vivendo, stabilendo con le persone che ritrae un rapporto umano.

Ciò che a Saglietti preme raccontare è l’uomo e il proprio destino. Altri mettono in evidenza la sua partecipazione alla sofferenza, con discrezione e rispetto, sicché gli scatti che ne derivano non sono quelli di un fotoreporter, ma di un compagno di strada che diventa amico.

Un vero onore dunque per il comune di Sanremo e per l’Associazione Spazivisivi, premiare Saglietti in questa prima edizione del premio, la quale diventerà un appuntamento annuale conferendolo di volta in volta ad un fotografo che nel corso della sua carriera ha contribuito, con il suo lavoro, a portare in alto l’arte fotografica.

 

IVO SAGLIETTI: biografia

Con circa 40 anni di carriera ancora in corso, Ivo Saglietti è uno dei più grandi autori italiani di fotoreportage. Ad attrarlo da sempre sono le vittime delle guerre, dell’oppressione, della povertà, dello sfruttamento, delle malattie. E le loro vite precarie quasi sempre al limite, di cui coglie la componente epica, il drammatico svolgersi e perdersi nel tempo, il più delle volte senza alcuna illusione di un lieto fine. Difficilmente perciò risolve i suoi progetti in pochi mesi.

Gli piace farli durare anni, approfondirli, dargli una connotazione storica e astorica nello stesso tempo. Dei drammi del mondo spesso racconta il lato umano, quello più intimo, più quotidiano, meno eclatante. Lo fa mostrandoci la realtà così com’è: senza distrazioni, senza mediazioni, senza consolazioni. Nessuna finzione iconografica o orpello estetico: la sua è fotografia diretta, sobria, di forte impatto visivo e di rara potenza emotiva.

Che cosa cerca in una foto lo spiega lui stesso: “L’Uomo e il suo destino. E la complessità del momento, che poi non sempre si trova”. Nel corso della sua vita professionale è stato spesso a contatto con situazioni estreme – in Africa Centrale, in Medio Oriente, nei Balcani, in America Latina. Ma a segnarlo di più è stato il suo lavoro ad Haiti. “Il caldo – spiega – feroce e quotidiano, il fatalismo, quella miseria senza speranza”. Come per altri fotoreporter, a un certo punto la morte ha bussato alla sua porta.

“Io e i miei colleghi – racconta – abbiamo rischiato spesso e molto, soprattutto in Centro America. È lì che ho perso amici e sono stato ferito”. Ma la paura più grande, quella che una volta passata ti fa vomitare, l’ha provata durante la guerra in Kosovo. “Erano appena stati uccisi Gabriel Gruner, un fotografo di Stern, e il suo autista, da un mercenario Russo “prestato” ai Serbi di Milosevic. Giorni dopo fummo fermati in macchina proprio a un checkpoint Serbo. E il nostro autista aveva nel bagagliaio della macchina manifesti dell’UCK. Ci andò bene, però, sì, ho provato il senso della mia fine … la sensazione che la nostra vita finiva lì, in un fosso vicino a Peja”.

È tra i pochissimi fotografi del nostro paese ad avere vinto per ben tre volte un premio al World Press Photo. Ma come spesso accade per le menti migliori del nostro paese il successo ha dovuto andare a cercarselo all’estero, sui giornali tedeschi e francesi. Ha trovato la pace nell’anima dal punto di vista professionale aggregandosi alla Zeitenspiegel, un’agenzia tedesca nata 30 anni fa dalla visione del fotografo Uli Rheihardt.