Le devastazioni che nel 2020 colpirono il Ponente ligure, mettendo in ginocchio la Valle Arroscia e un’intera provincia, furono un presagio di quel che accadde mesi dopo ad Ischia. Ci domandammo quante Casamicciola dovessero ancora accadere prima che si incominciasse a difendere il territorio. In questi giorni, mentre le terre della Romagna vengono allagate per la seconda volta in un mese, le istituzioni a tutti i livelli continuano ad appellarsi all’emergenza, come se fosse una situazione vittima di accadimenti imponderabili. Ma come fa a definirsi emergenza, ovvero una circostanza non prevista, un fenomeno che, come dimostrano gli annuali rapporti dell’Ispra, è strutturale?
Nell’ultimo di questi, a proposito di dissesto idrogeologico, si evidenzia che la Liguria, continua ad essere la maglia nera per rischio frane e abusi edilizi con 6 edifici su 100 irregolari e il 55% della popolazione che vive in zone pericolose.
Un territorio quello del Ponente, fragile e ferito, eroso sempre più frequentemente dalla crisi eco-climatica, dove ciò nonostante continuano le cementificazioni e le progettazioni di un ospedale in un’area esondabile nel torrente Argentina o di una nuova diga più a monte, in luoghi geologicamente inappropriati, franosi e ad elevato rischio sismico.
Per questo continua la raccolta firme, per una vita degna, per difendere il territorio e i beni comuni: Sabato 27 a Sanremo in Corso Matuzia 113, fronte Coop, dalle 9 alle 13 Domenica 28 sul lungomare di Vallecrosia – Fiera di Pentecoste dalle 9 alle 13
Come ricorda Marco Bersani per la campagna Riprendiamoci il Comune “La pioggia può diventare un’emergenza, la crisi climatica è l’ordinario scorrere delle nostre vite in un’epoca che ha squassato la relazione con la natura, basandola sull’estrazione, devastazione e predazione a scopo di profitto. Per affrontarla servono strategie radicali di cambiamento del modello produttivo e di consumo di suolo ed energia. Serve la rivoluzione della cura contro l’economia del profitto. Serve la democrazia economica contro la dittatura del mercato. Serve l’interdipendenza relazionale contro l’onnipotenza patriarcale. E servono 26 miliardi, qui ed ora, per il riassetto idrogeologico del
territorio. […] Nonostante la litania quotidiana della narrazione dominante, i soldi ci sono, sono tanti, persino troppi: il problema è che sono tutti nelle mani sbagliate o indirizzati a interessi di tipo privatistico. Cassa Depositi e Prestiti, che, solo con la raccolta del risparmio di 22 milioni di persone, gestisce 280 miliardi. Se per oltre 140 anni, Cdp aveva utilizzato quei risparmi per finanziare a tassi agevolati gli investimenti degli enti locali, permettendo a questi di realizzare acquedotti, scuole, ferrovie, ospedali senza trovarsi affondati nei debiti con le banche, dalla sua trasformazione in Spa nel 2003, Cassa Depositi e Prestiti è diventata un mostro economico-finanziario che oggi detiene quote delle grandi società di rete (Eni, Snam, Italgas, Terna) finanziando l’energia fossile, di grandi settori industriali (Fincantieri, Ansaldo) finanziando la guerra, e con i Comuni si relaziona come una qualsiasi banca per fare profitti, favorendo la dismissione del patrimonio pubblico e la privatizzazione dei servizi pubblici locali.”
Trasformare Cassa Deposi e Prestiti diventa una priorità. È quanto si prefigge la campagna Riprendiamoci il Comune con due leggi d’iniziativa popolare per cambiare la finanza locale e per mettere Cassa Depositi e Prestiti al servizio delle comunità territoriali.