Riviera Time riporta la lettera di sfogo dell’attore imperiese Antonio Carli:
“Il titolo che può sembrare scandalistico in realtà riassume perfettamente la sostanza di un fatto accaduto ad Imperia.
Mio fratello ha quaran’anni, da sempre in sedia a rotelle, io ne ho 10 più di lui.
Quando viene la bella stagione noi, la famiglia, ci attiviamo per cercare di portare al mare Matteo, che in acqua, vive pochi ed unici momenti di libertà e indipendenza.
Finchè era vivo mio padre, si andava un mese in Sardegna dove esistono spiagge “senza barriere”, gratuite peraltro, in cui anche un disabile si sente “normale“, poi non ci è stato più possibile farlo.
Imperia, con la sua costa scarna non è mai stata confortevole per questo, si aggiunga che: crescendo lui, invecchiando noi, sollevarlo fisicamente per raggiungere l’acqua è diventato sempre più difficile e faticoso.
Questo ci ha portato nel tempo a preferire per lui sempre di più la piscina al mare, tuttavia negli ultimi anni la struttura durante il periodo estivo è stata chiusa a causa di interventi per cui si è cercato di individuare la spiaggia più adeguata allo scopo.
L’unica spiaggia “predisposta” per disabili dal comune di Imperia è impraticabile perchè rocciosa, quindi del tutto inadeguata.
Mi spiego meglio: dovendo recare il ragazzo vicino al mare sulla sedia a rotelle e poi sollevarlo a braccia fino all’acqua, è necessario che la spiaggia abbia uno scivolo che arrivi il più possibile vicino al bagnasciuga, non solo, ma che l’accesso alle docce non presenti barriere architettoniche o difficoltà di altra natura.
Nel corso degli anni abbiamo sperimentato varie soluzioni, a pagamento ovviamente, ma ognuna di queste rivelava difficoltà, ad esempio lunghi percorsi sulla sabbia (le ruote della sedia affondano), docce lontane e difficilmente raggiungibili, quando non addirittura scalini per accedere alla spiaggia.
Da qualche anno a questa parte ci eravamo recati presso uno stabilimento imperiese dove in parte queste difficoltà erano limitate, pagando lo stagionale, anche quando in realtà ci si andava poche volte a settimana e per poco tempo dato che mio fratello si stanca facilmente.
Quest’anno, a causa dell’emergenza sanitaria, mio fratello è stato trattenuto a casa dai primi giorni di marzo e da allora non è mai uscito, in quanto soggetto “a rischio” abbiamo ritenuto prudente azzerare i contatti con l’esterno.
Questo fatto ha costretto l’intero nucleo familiare a turni e sacrifici difficilmente spiegabili ed immaginabili, ma soprattutto lui, ragazzo socievole e molto vitale ad una vera e propria “clausura”, rinunciando alla sua attività presso il centro diurno, le assistenti domiciliari, le uscite con familiari ed amici, ossia a tutte quelle cose che, per un ragazzo della sua età intrappolato su una sedia a rotelle gli rendono la vita accettabile.
Mi scuso per l’antefatto, ma è necessario a comprendere la situazione.
Due giorni fa riceviamo la telefonata del gestore dello stabilimento, a cui alla fine della scorsa stagione avevamo già detto di confermare l’abbonamento per quest’anno, il quale ci informa che: a causa della riduzione degli spazi imposti dal governo (che in realtà non si è ancora pronunciato in merito), sono spiacenti, ma hanno deciso di dare precedenza agli stagionali di vecchia data, per cui per noi non ci sarebbe stato posto.
Da sempre siamo abituati ad essere considerati “figli di un Dio minore”, abbiamo sempre lottato per tutto, dai presidi, al riconoscimento della invalidità, all’assistenza, all’integrazione a scuola, all’ottenimento di un parcheggio riservato ed alla difesa dello stesso.
Siamo abituati alle umiliazioni, che un sistema incivile molto in voga nel nostro paese, costringe a subire chi già vive la difficile condizione di disabile, ma questo ci sembra davvero troppo.
La discriminazione evidente di una città dove non esiste una struttura dove ci si possa recare senza dover incorrere in barriere ed ostacoli rappresenta una forma di grave disinteresse ed inciviltà, come chi occupa un posto riservato impropriamente o chi non mette a norma le strutture ricettive, per cui sembra voler dire “non vi vogliamo!”.
Così, dopo quattro mesi chiuso in casa, dovrò dire a mio fratello un altra volta:“tu no, tu questo non lo puoi fare”, come tutto il resto, Matteo mio.”