Fatta eccezione per l’ospedale Princesse Grace a Monaco e il CHU – Centre Hospitalier Universitaire di Nizza, gli altri ospedali della Costa Azzurra non sembrano ancora pronti per fronteggiare l’emergenza coronavirus che potrebbe presto riguardare anche la Francia del sud.
L’esperienza raccontata da una madre di famiglia residente a Nizza ai colleghi del Nice Matin lo dimostrerebbe. La famiglia composta da cinque persone è rientrata domenica pomeriggio da un breve periodo di vacanza a Venezia per assistere al Carnevale. Ieri mattina, lunedì, una figlia di 13 anni si è svegliata con febbre alta, tosse, mal di testa e dolori ovunque , i sintomi classici di una influenza.
Seguendo quelle che sono le indicazioni, i genitori hanno richiesto l’intervento a domicilio senza recarsi al Pronto soccorso dell’ospedale Lenval, per dissipare ogni dubbio. Dall’altro capo del telefono, dopo evidenti segnali di nervosismo, hanno riattaccato dicendo che avrebbero richiamato, come è in effetti accaduto poco dopo. Dopo una serie di domande (da dove arrivate, in quanti eravate eccetera) i sanitari le hanno fissato una visita per questa mattina dove l’adolescente è stata accompagnata dalla mamma con l’auto di proprietà e consentendo l’ingresso non dalla porta principale ma da una secondaria. Suonano, la porta si apre ma non c’è nessuno, facendo qualche passo si accorgono che si trovano nella sala d’aspetto di pediatria. Passano due infermiere e dopo le spiegazioni una delle due le affida ad altre colleghe debitamente attrezzate, madre e figlia vengono ‘mascherate’.
I medici che si prendono cura di loro le tranquillizzano con calma e professionalità ma la sensazione è che non siano in grado di dare risposte alle domande che le due pongono, sensazione confermata dal medico che rivela, scusandosi, di avere aggiornamenti ogni due ore sull’evoluzione e su come trattare il contagio.
La 13enne viene finalmente sottoposta a due prelievi ma i medici non sanno se metterli in uno o due contenitori per poi inviarli a Marsiglia dato che a Nizza nessun centro è ancora pronto per evidenziare il virus. Nell’attesa, le due testimoniano l’arrivo di altri casi sospetti tra i quali una bimba di soli 5 anni.
Angosciata, la mamma chiede se anche gli altri componenti del suo nucleo famigliare devono essere sottoposti ad esami e la risposta è che non ne sono sicuri, il medico telefona per avere chiarimenti ma fa scattare il rimpallo di competenza tra un operatore e l’altro. La decisione su come comportarsi diventa così quella di agire secondo coscienza e in mancanza di sintomi di mandare pure a scuola gli altri due figli, anche se l’Accademia di Nizza invita ad attendere almeno due settimane chi rientra dopo un soggiorno in zone a rischio.
A mezzogiorno le due vengono dimesse con tanto di mascherine anche per il resto della famiglia con la consegna di non uscire di casa sino all’esito del test che verrà comunicato. Come? Non lo sanno come ma li avviseranno di certo. E se un altro componente della famiglia dimostrasse sintomi? Non dovete nemmeno chiamare il numero di emergenza, le dicono, ma recatevi direttamente qui sempre entrando dalla stessa porta secondaria.
Almeno per il momento questa è la fine dell’odissea con la speranza che la 13enne risulti negativa così come il resto di questa famiglia, simbolo di una situazione ormai fuori controllo e di cui nessuno sa come e quando finirà.