Arriva da Ponente, da Imperia, la prima sconfitta di Giovanni Toti alle elezioni di un capoluogo di provincia ligure. Fino ad oggi, aveva infatti inanellato una vittoria dietro l’altra, da Savona a Genova fino a La Spezia. Tutte roccaforti rosse, che il suo ‘modello’ era riuscito a far cadere. Ha fallito invece a Ponente, storica patria dei moderati.
Situazione tutt’altro che sorprendente. Lo scorso 13 marzo su Riviera Time avevamo parlato di ‘stress test per il modello Toti’ in riferimento alle elezioni amministrative in provincia di Imperia. Questo perché un conto è vincere in situazioni in cui il centrodestra rappresenta l’alternativa, l’occasione per “cambiare il vento” e per superare una classe dirigente di centrosinistra. In quei casi è semplice fare squadra e compattare il gruppo. Altro conto è avere la destrezza di muoversi all’interno di equilibri più complessi, dove il centrodestra è un insieme più ampio del gruppo regionale e dei suoi fedelissimi.
Lì c’è stato il cortocircuito che ha portato alla sconfitta dei candidati totiani. Il centrodestra unito vince, è vero. Ma il centrodestra unito non significa soltanto i vertici di partito che governano la Regione. Far finta che sia così significa spaccare l’elettorato e perdere il punto di forza del modello Toti: la compattezza.
È accaduto così a Imperia, dove – a questo punto con troppa leggerezza – si è lasciato Claudio Scajola libero di fare un incontro dopo l’altro, di ergersi indisturbato a ‘salvatore della patria’, di partire in campagna elettorale già in fuga. E non si è avuta neppure l’onesta di ammettere che se il nemico non lo puoi sconfiggere è meglio farselo alleato. I tentativi di ricucire lo strappo – da qualunque parte fosse stato fatto – sono sembrati sempre blandi e poco convinti.
Con la stessa leggerezza è stata commissariata la Lega, dopo che il segretario Ambrosini è stato costretto alle dimissioni per essere andato ad ascoltare Claudio Scajola all’Auditorium della Camera di Commercio. E in egual modo è stato accompagnato alla porta il gruppo dirigente di Fratelli d’Italia, che per pronta risposta ha organizzato una lista alternativa che ha raccolto più consensi del partito di Giorgia Meloni.
Discorso non dissimile si è avuto a Bordighera. Nella Città delle Palme Forza Italia aveva individuato in Vittorio Ingenito il possibile candidato sindaco, ma l’accordo Lega-Pallanca ha fatto saltare il banco. Si è creata così una situazione in cui Ingenito è andato da solo e ha vinto, il sindaco uscente Giacomo Pallanca si è imbarcato i partiti, è stato abbandonato da parte della sua maggioranza e ha perso. Anche in questo caso, alla complessità del quadro politico non è stata data una risposta altrettanto complessa.
C’è poi il caso Vallecrosia, sesto comune per popolazione della provincia di Imperia, dove il centrodestra si è diviso addirittura in tre parti. Sebbene i simboli non fossero presenti, Fabio Perri è stato appoggiato da Forza Italia, con la presenza in città dell’eurodeputato Alberto Cirio. Il sindaco uscente Ferdinando Giordano ha avuto l’appoggio della Lega. Entrambi però sono stati sconfitti. A trionfare è stato l’altro figlio del centrodestra, Armando Biasi, ex vice coordinatore provinciale del Popolo della Libertà.
Dunque, se queste elezioni rappresentavano uno “stress test” per il modello Toti, si può dire che il test è stato fallito. Nulla di irreparabile, per carità, ma un campanello d’allarme forte. Servirà un’analisi seria degli errori e delle responsabilità. Fare spallucce e derubricare il tutto a episodi locali potrebbe infatti costare caro al governatore. Tra due anni ci sono le Regionali e, senza un consenso ampio a Ponente, la strada per una riconferma in Via Fieschi sarà molto impervia.