Si parla sempre di migranti, di integrazione, di barconi che che arrivano dalla Libia, conosciamo i numeri delle persone che sbarcano nel nostro Stato, ma non le loro storie.
Noi siamo andati a conoscere Abdulai Koroma un ragazzo che nel 2016 ha lasciato il suo paese, la Sierra Leone, e dopo più di un anno dalla partenza è sbarcato a Messina.
Ora Abdulai ha 24 anni, ma quando decise di partire era molto giovane e lo fece perché il padre lo rifiutò, la sua colpa era quella di non voler far parte di una società segreta, dove il padre era un pezzo grosso, ma Abdulai sapeva cosa sarebbe successo se fosse entrato a far parte di quella setta. Aveva visto troppo sofferenza, troppi amici mutilati, o addirittura impazziti dopo essere stati membri di quella organizzazione.
Decise di partire, perché la paura era troppa, Abdulai voleva vivere e l’unica soluzione per farlo era scappare. Arrivò in Burkina Faso, ma il posto non era per nulla sicuro: “le armi – racconta – sono vendute come qui frutta e verdura al supermercato”. Non rimaneva altro da fare che proseguire con il viaggio. Un viaggio duro, lungo e difficile che lo portò in uno dei luoghi più pericolosi e terrificanti che i suoi occhi avessero mai visto: la Libia.
In Libia il suo cuore è stato spezzato, ma Abdulai è forte ed è sopravvissuto. Non aveva scelta perché indietro non si poteva più tornare, l’unica speranza era cercare la soluzione per scappare da quell’inferno in terra.
“Tre volte in prigione – ci spiega – di cui una per tre mesi consecutivi, per nessuno motivo, senza aver fatto nulla, solo forse per il colore della pelle, per la pettinatura sbagliata, per una parola detta in una lingua diversa, scuse per avere del denaro”. Denaro che a lui è arrivato dalla nonna che gli ha salvato la vita, dopo che per tre mesi vicino a lui ha visto solo morte. Per il troppo caldo, per la mancanza di cibo e di acqua, addirittura, ci racconta, che non potevano neanche lavarsi, costretti tutti insieme in un ambiente opprimente senza nessun confort e per confort si intende magari un materasso per terra, la possibilità di bere un sorso d’acqua, o semplicemente potersi fare una doccia.
Situazioni impensabili, ma Abdul si ritiene fortunato, perché lui il Libia non è morto, ma è riuscito a scappare e dopo un viaggio infinito è sbarcato a Messina. Dopo Messina è stato trasferito alla Caritas di Ventimiglia e per Abdulai è iniziata una nuova vita. Grazie a Maurizio Marmo, Christian Papini e tanti altri Abdulai ha trovato un lavoro e ora anche una casa in affitto. Con la sua famiglia di origine non ha più contatti, ma ne ha trovata un’altra: Dennis Giusto e Rossella Pruneti che per lui non sono solo datori di lavoro, ma punti fermi su cui contare.
Il suo racconto nel video-servizio a inizio articolo.