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Un’indagine indipendente portata avanti da Greenpeace Italia, fra il settembre e l’ottobre del 2024 in 235 città di tutte le regioni e le province autonome d’Italia, ha riportato alla ribalta delle cronache nazionali la questione relativa ai cosiddetti PFAS (sostanze perfluoroalchiliche), presenti nel 79% dei campioni di acqua potabile analizzati, stando allo studio indipendente “Acque Senza Veleni”.

I PFAS sono un ampio gruppo (ne esistono più di 4mila tipi) di sostanze chimiche particolarmente resistenti e durature costituite dalla presenza di uno o più legami chimici tra carbonio e fluoro, usate inizialmente in ambito militare e successivamente in molti ambiti industriali, come la produzione di pentole antiaderenti, oppure di protesi mediche e componenti per il settore dell’auto, sviluppati a partire dagli anni ’40.

Finiscono nell’ambiente, di solito, in conseguenza di processi industriali come la gestione scorretta delle acque di scarico, dispersione dei rifiuti o usura di materiali di contenimento e per via della loro forte resistenza tendono ad accumularsi nel tempo, risultando molto inquinanti e difficili da smaltire.

La loro presenza viene spesso riscontrata nelle falde acquifere, ed è quindi nell’acqua potabile, dove solitamente vengono effettuate le rilevazioni. Sul territorio italiano, il monitoraggio e il controllo di questa problematica è sotto la giurisdizione delle agenzie regionali per la protezione dell’ambiente (Arpa).

Difficile stimare con precisione le conseguenze sulla salute degli esseri umani e su altri esseri viventi, per l’ampia varietà di PFAS esistenti (alcuni sono poco rilevanti, altri possono avere effetti per accumulo, altri ancora sono notoriamente cancerogeni) e per il fatto che le analisi scientifiche possono essere falsate dalla presenza di altri agenti inquinanti.

Sulla base del principio di precauzione e di gestione del rischio, la Commissione Europea è intervenuta più volte sul tema, sia per avviare programmi di rilevazione sul territorio, sia con provvedimenti e proposte per imporre restrizioni dei PFAS considerati più a rischio. Inoltre, a partire dal 2026 entrerà in vigore la direttiva europea 2020/2184, che ha fissato un limite di 100 nanogrammi per litro (ng/l) per 20 PFAS specifici, ossia quelli ritenuti più pericolosi.

In Italia, l’assenza di una legge unitaria per l’applicazione delle direttive europee ha generato una mancanza di uniformità nei controlli a livello nazionale, sia in termini di frequenza che di modalità. Di conseguenza, risulta complesso ottenere dati omogenei dalle diverse Arpa regionali.

Lo scorso 22 gennaio a Roma è stata presentata da Greenpeace Italia la mappa della contaminazione da PFAS nelle acque potabili in Italia, non la prima, al contrario di quanto affermato dall’associazione. Infatti, già nel 2023, il quotidiano francese Le Monde aveva realizzato una mappa a livello europeo. Tuttavia, l’iniziativa di Greenpeace rimane sicuramente di grande rilevanza.

Le molecole più diffuse sono risultate, nell’ordine, il cancerogeno PFOA (nel 47% dei campioni), seguito dal composto a catena ultracorta TFA (in 104 campioni, il 40% del totale, presente in maggiori quantità in tutti quei campioni in cui è stato rilevato) e dal “possibile cancerogeno” PFOS (acido perfluoroottansolfonico, in 58 campioni, il 22% del totale). 

Nel caso del PFOA (acido perfluoroottanoico) – una delle molecole PFAS, classificata come cancerogena di classe 1, quindi certa, dalla Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro (ad esempio, nella classe 1 per fare un paragone rientrano le sigarette) – dal report emerge che la città di Imperia è al quinto posto a livello nazionale per la concentrazione dello stesso, con 15,6 nanogrammi per litro, poco dietro a Bussoleno (TO), Rapallo, Tortona e la stessa Torino, in una graduatoria che vede la Liguria al primo posto per la diffusione di questa molecola, stando al campioni prelevati che si sono rivelati positivi 8 volte su 8.

Le analisi in Liguria sono state svolte in 7 diversi comuni (Genova, Rapallo, Imperia, Albenga, La Spezia, Sarzana e Savona) e i risultati vedono Imperia presentare una concentrazione di PFAS nelle acque potabili pari a 25,6 ng/l, al quarto posto per valori massimi di PFAS.

Imperia è in testa anche per quanto riguarda i valori massimi di PFOS – sostanza, in questo caso, sospettata di essere cancerogena e in grado di avere diversi effetti negativi sulla salute umana – con valori di 4 nanogrammi per litro, alti in confronto ad Albenga e Genova, le uniche altre due città dove è stata rilevata, entrambe a 1,5.

Al momento, la sola Arezzo, in tutta Italia, sfora i parametri stabiliti dalla direttiva in arrivo, ma nel suo rapporto Greenpeace sostiene che i parametri andrebbero rivisti al ribasso, sul modello di quanto fatto da altri Paesi europei come Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Spagna, Svezia e le Fiandre (Belgio). Al di fuori dell’UE anche gli Stati Uniti d’America hanno adottato limiti più bassi.

La questione è al centro di un dibattito, soprattutto fra le istituzioni tecnico-scientifiche europee che si rapportano con la classe politica.

L’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha fatto una propria valutazione del rischio indicando una dose tollerabile pari a 4,4 nanogrammi per kg di peso corporeo per persona a settimana (su quattro tipi di PFAS specifici). Complessivamente è una stima più bassa rispetto ai parametri della direttiva, anche se vista la differenza di parametri fare una stima precisa resta al quanto difficile.

La stessa Commissione ha chiesto un parere all’Organizzazione mondiale della sanità sui PFAS, trattandosi di una questione globale.

“È inaccettabile che, nonostante prove schiaccianti sui gravi danni alla salute causati dai PFAS, alcuni dei quali riconosciuti come cancerogeni, e la contaminazione diffusa delle acque potabili italiane, il nostro governo continui a ignorare questa emergenza, fallendo nel proteggere adeguatamente la salute pubblica e l’ambiente”, ha affermato nei giorni scorsi Giuseppe Ungherese, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. “Ancora oggi non esiste nel nostro Paese una legge che vieti l’uso e la produzione dei PFAS. Azzerare questa contaminazione è un imperativo non più rinviabile. Il governo Meloni deve rompere il silenzio su questa crisi: la popolazione ha diritto a bere acqua pulita, libera da veleni e contaminanti”.

A ogni modo il problema dei PFAS riguarda non solo la necessità di ridurre la nuova immissione di queste sostanze, ma anche il difficile compito di smaltire quelle già presenti. L’argomento è da qualche anno sempre più discusso dalla popolazione e dalle istituzioni, ma il problema non sarà risolvibile ancora per lungo tempo, dato che le attività di bonifica sono costose e spesso insufficienti e non esistono al momento rimedi efficaci che possano rompere i legami chimici che sono causa della resistenza delle molecole e diminuirne su base medica la concentrazione negli esservi viventi che le hanno assunte, anche se vi sono stati alcuni progressi negli ultimi anni.

Prima di ottenere risultati concreti servirà (purtroppo) molto tempo.

Nel video servizio a inizio articolo le parole di Giuseppe Ungherese di Greenpeace Italia.