Per la Rai sono “cavoli amari”, per Sanremo potrebbero essere invece “cavoli in fiore”. Alla base dell’eufemismo “cavoli amari”, in sostituzione del più volgare, pecoreccio “c… amari”, c’è una dichiarazione, arrivata fresca fresca nel pomeriggio da Genova del Tribunale Amministrativo Regionale della Liguria (TAR) che sentenzia “illegittimo”, tenetevi forte, “l’affidamento diretto da parte del Comune di Sanremo alla Rai, l’organizzazione del Festival della Canzone italiana”. Notizia bomba da far tremare i polsi non solo ai piani alti di Viale Mazzini a Roma, case discografiche, cantanti, musicisti, manager, teen-ager, il mondo che da 74 anni ama il Festival e tutti i suoi protagonisti da Nilla Pizzi ad Angelina Mango, hotel, ristoranti, bar, pizzerie, boutique, per non parlare del Casinò, degli attuali sindaco avvocato Alessandro Mager, assessori cominciando da Sindoni, per non dire dell’intero mondo turistico della città dei fiori, sopra tutto da Diano Marina a Ventimiglia.
Il Tar, in una dettagliata sentenza di 58 pagine, salvando il Festival 2025 che si svolgerà regolarmente come previsto dall’11 al 15 febbraio con il ritorno all’Ariston e la direzione e presentazione di Carlo Conti, ha accolto il ricorso presentato dal presidente dell’AFI (Associazione fonografici italiani) Sergio Cerruti, managing director anche della società discografica JE, che, in sintesi, contesta la concessione del marchio “Festival della canzone italiana” in esclusiva alla Rai. Tormentone che dura da anni mai arrivato a sentenza e che ora si è trasformato in un serio problema anche perché Cerruti vorrebbe tanto altro come mettere pure mano, ringiovanire, rivoluzionare, riformare la gestione del Festival e, udite udite, addirittura portarlo altrove: Milano, Roma, Napoli, Sardegna. Chissà, “à l’étranger” come dicono i francesi, dalle Alpi alle piramidi. Insomma, per dirla papale papale “scipparlo” legalmente. Italiani, popoli di veggenti, inventori, profeti. Un esempio piccolo piccolo: il cantautore Gatto Panceri, che partecipò al Festival del 1992, l’anno precedente nel 1991 ha pubblicato il suo primo album da cantautore dal titolo “Cavoli amari“.
Tutto sommato leggendo alcuni passaggi delle 58 pagine del Tar per la nuova pubblica amministrazione di Sanremo targata Mager, i temuti “Cavoli amari” potrebbero invece fornire la chiave per trasformarli non solo in fiore, ma addirittura in cavoli d’oro. L’anno prossimo scade il contratto di esclusiva che la Rai ha sempre avuto dal Comune della città dei fiori per il Sanremo sostenendo che il marchio “Festival della Canzone italiana” ed il prodotto fornito da Viale Mazzini fossero inseparabili. Impossibile dividerli. Il Tar ha messo in evidenza 3 pilastri: 1) che il format non è immutabile, 2) neppure incatenato esclusivamente alla Rai; 3) aprire una gara pubblica, un’asta potrebbe offrire soluzioni in grado di migliorare sempre più l’evento a 360 gradi. Una cosa è certa se Palazzo Bellevue mettesse all’asta il Festival, se potessero partecipare non solo la Rai in esclusiva, come è sempre accaduto nelle precedenti 74 edizioni, ma anche tv italiane e straniere a partire da Mediaset e Sky solo per fare 2 nomi ci sarebbe tutto da guadagnare. Basta vedere le cifre che vengono date a fine di ogni Festival. La Rai dà a Sanremo 5 milioni facendoli scendere dal cielo, quando i suoi guadagni pubblicitari noti sono super, super, super.
Un’asta per il Sanremo 2026, e per gli anni successivi, con o senza navi turistiche in porto, dovrebbe partire con il doppio, almeno 10 milioni di euro. Insomma mercato libero, asta pubblica, in piazza Colombo. Il tutto ripreso e trasmesso in diretta. Nuova trasmissione di successo sicuro, da contabilizzare oltre il Festival. Stop a stanze, uffici chiusi al pubblico a Roma capitale, ma tutto en plein air, in centro, a Sanremo.