A Sanremo si dice che nelle stanze del Royal sia passata la storia. Vero, ed è altrettanto vero che la storia in questione non fu solo quella mondana delle teste coronate, dei divi della canzone o delle stars del cinema e non si limitò a frequentare gli interni del blasonato hotel ma calcò anche il terreno dei suoi courts. Perché, nei ruggenti anni ’20, su quei courts, giocò Suzanne Lenglen, per i francesi la Divine, per gli inglesi the Maid Marvel.
Suzanne irruppe sui campi di gioco come uno tsunami che travolse qualsiasi abbozzo di resistenza opposto dalle avversarie: dal ’19 al ’26, con la parentesi del 1924 in cui fu bloccata dall’asma, trionfò sei volte a Winbledon e sei volte ai Campionati di Francia, oro olimpico ad Anversa nel singolo e nel doppio misto e bronzo nel doppio. Vinse 241 tornei e nel singolo ottenne 171 vittorie consecutive. Non fu mai battuta, o fu battuta una sola volta se vogliamo assimilare ad una sconfitta il ritiro dovuto all’attacco di pertosse che bloccò al primo incontro la sua tournée negli Usa.
Ma ancor più che con i risultati agonistici, sconvolse quel tempio dell’ipocrisia vittoriana che era il tennis di allora per la sua tenuta di gioco senza maniche e con gonna al ginocchio, per il cognac ghiacciato con cui si dissetava tra un set e l’altro, per la sua volubilità sentimentale, per la sua vita di donna libera che viveva di sport senza dipendere da nessuno. Quel mondo si spezzò in due, una metà la odiò profondamente, ma l’altra se ne innamorò.
Nel 1927 divenne la prima tennista professionista, come tale disputò diverse partite oltre oceano e poi, rientrata in Francia, nel 1933, aprì una scuola di tennis a Parigi che la Federazione riconobbe come centro di formazione nel 1936. Morì di leucemia due anni dopo, il 4 luglio.
Oggi, ripensando a Suzanne, donna libera che se ne andò durante un independence day di tanti anni fa, riconosciamo che, sulla strada dell’emancipazione femminile, le sue pratiche di vita hanno pesato forse quanto le parole e l’azione delle grandi femministe sue coeve come Alice Milliat o Millicent Garrett Fawcett, l’una e le altre protagoniste a pieno titolo di una storia che non necessità di ulteriori aggettivazioni.
Francesco Sarchi