32 milioni di euro di debito. Una cifra da far tremare i polsi. A tanto ammonterebbe il bilancio di Rivieracqua, la società a capitale pubblico che, in gestione di monopolio, vende l’acqua potabile ai Comuni della provincia di Imperia. In questi giorni è l’argomento principale: se ne parla, legge, vede e discute un po’ ovunque, negli uffici, in tribunale, nei municipi, al bar, in famiglia, sotto l’ombrellone, nei posti di lavoro.
Sono soprattutto quattro le domande che si rincorrono, che tutti si fanno. La prima: come fa una società come Rivieracqua, che ha il monopolio di fornire e vendere a tutti i cittadini della Riviera dei fiori, residenti, turisti, ospiti e varie attività, un bene primario, necessario, insostituibile, vitale come l’acqua potabile, non pop corn, chiedere un concordato preventivo, rischiare il fallimento? Nemmeno i “falsari di Totò” riuscirebbero a tanto. La seconda: come mai, visto che le società (Amaie, ecc.), formate da capitali ed azionisti pubblici (Comuni, rispettivi sindaci, presidenti, Cda) nel corso degli anni non si sono accorti, provvedendo tempestivamente, che la gestione ed i conti non solo non tornassero ma si tingevano, mese dopo mese, sempre più pericolosamente e vertiginosamente di rosso?
La terza, forse la più delicata, la più articolata: perché Sanremo, il comune più importante del team societario, detentore da solo del 50% delle azioni e quindi anche il più esposto economicamente e responsabile, non ha fatto sentire prima la sua voce, il suo team di esperti non è entrato in azione, non ha pigiato il segnale d’allarme, preso le decisioni che dovevano essere prese. Si è preferito, come sempre, lanciare il pallone in tribuna, rinviare tutto a babbo morto, perché il sindaco Alberto Biancheri solo in questi giorni “ha chiesto chiarimenti”?
Chiarimenti a chi se gli ultimi presidenti, responsabili, figure più importanti dell’azienda dell’acqua, negli anni, a partire da Risso, all’avvocato Donzella, all’attuale Mangiante sono stati tutti eletti da lui, dall’ok, dal consenso del maggior azionista, dal sindaco di Sanremo Alberto Biancheri. Stesso discorso vale anche per altri funzionari di vertice. Ai piani alti dei Palazzi della PA lo stupore per la bocciatura da parte del Tribunale di Imperia del Piano concordatario di Rivieracqua, sta contagiando tutti. Stupore, domande, chi e dove si è sbagliato. Impossibile, assurdo. Invece che vicino, in casa, in qualche cassetto, sotto il tappeto si cerca lontano, il terreno di caccia varca l’orizzonte, si va sull’Himalaya. A volte basta fare autocritica, guardarsi allo specchio.
Se una come l’Amaie, l’Amat, Rivieracqua o altre vende in ragione di monopolio un prodotto essenziale come l’acqua potabile a intere province e fallisce vuol dire, senza tanti giri di parole, che è gestita male. La ricerca di un partner privato è una chimera. È indispensabile avere la capacità e la forza di scegliere ed assumere manager adeguati, all’altezza del compito. Sotto ogni profilo. Chi è bravo resta, chi sbaglia paga. Subito! Fatti, basta parole, promesse, sogni. Soprattutto se si gestisce per conto dei cittadini un bene pubblico, indispensabile come l’acqua.
A questo punto permettetemi una mia domanda, la quarta: se è tutto vero, se come ha dichiarato l’ex pluriministro Claudio Scajola, sindaco di Imperia, che nell’azienda dell’acqua “da 9 anni non ci sono stati investimenti e si sono spese ingentissime somme per consulenze legali di carattere giuridico ed amministrativo” mi pare indispensabile che sia fatta chiarezza una volta per tutte, uscire dal limbo della mancata tutela prima che sia troppo tardi, prima che scatti l’ennesima prescrizione. Promuovere e completare indagini, azioni di responsabilità nei confronti di chi ha presieduto, gestito, diretto Rivieracqua e, se del caso, altre società del settore. Dare la massima collaborazione a chi indaga, ai giudici, capire cosa sia realmente successo, se c’è stata incapacità, se sono stati commessi errori, da chi, perché, se si potevano evitare.
Oppure, oppure…basta se, ma, forse. Basta estate senz’acqua. Basta migliaia di turisti umiliati da Ventimiglia ad Andora, soprattutto nel Golfo dianese. Nelle nostre case, negli alberghi, ovunque, basta rubinetti scandalosamente all’asciutto. Vent’anni senz’acqua e soldi sprecati sono troppi.