Secondo uno studio realizzato dall’Imperial College di Londra, pubblicato sulla prestigiosa rivista mondiale Nature, viene affermato che le drastiche misure di contenimento della propagazione del coronavirus hanno impedito la morte di altre 3 milioni di persone in 11 Paesi europei.
In questa seconda fase post-pandemia si stanno sollevando sempre più proteste per la disgraziata situazione economica che sta attanagliando il mondo a causa della chiusura per oltre tre mesi di quasi tutte le attività. A fronte delle richieste generali di riaperture e di crescenti malumori per aver costretto decine e decine di milioni di persone a stare chiusi in casa, perdendo il lavoro o nella migliore delle ipotesi ad andare in cassa integrazione, la risposta del Comitato Scientifico che ha affiancato il Governo britannico nel lockdown, forse chiude il dibattito e le polemiche su cosa era meglio sacrificare nei 100 giorni più bui dell’era moderna.
Sulla base di complicati calcoli matematici, gli studiosi inglesi sono giunti alla conclusione che chiudere scuole, fabbriche, esercizi commerciali, stadi e costringere al domicilio le persone non operanti in ambito medico ha salvato 3 milioni e 100 mila vite in Italia, Francia, Germania, Austria, Belgio, Danimarca, Spagna, Norvegia, Svezia e Svizzera.
Sempre secondo lo stesso studio, il cui limite è che identiche misure restrittive non hanno avuto gli stessi effetti da nazione a nazione, la vera stima di contagiati dal Covid in quegli stessi 11 Paesi, a tutto il 4 maggio scorso si aggirerebbe tra i 12 e 15 milioni, per una percentuale della popolazione che oscilla tra il 3,2% e il 4%.
Viene infine confermato che a livello percentuale il Belgio avrebbe avuto il tasso di contagio più elevato con l’8% dei suoi abitanti, poi Spagna 5,5%, Gran Bretagna 5,1%, Italia 4,6%, Francia 3,4%, mentre la Germania chiuderebbe questa classifica con un modesto 0,85%.