L’ambasciatore Domenico Vecchioni torna nel teatro dell’Opera alle ore 16.30 domani 14 maggio con il suo ultimo saggio: ”Le dieci donne spia che hanno fatto la storia” (Edizioni del Capricorno). Partecipa il dott. Matteo Moraglia. L’incontro è inserito nel piano di Formazione dei Docenti.
Tutti conoscono Mata Hari, danzatrice, avventuriera e spia, destinata a scivolare sul terreno del doppio gioco. Ma la bella olandese non è l’unica donna ad aver meritato un posto nella storia dello spionaggio: sono da ricordare anche Gertude Bell, archeologa britannica che insieme a Lawrence d’Arabia operò in Medio Oriente e contribuì alla «creazione» dell’Iraq; la temibile e misteriosa Fraülein Doktor, al secolo Elsbeth Schragmüller, implacabile istruttrice di spie nella Germania delle due guerre mondiali; la principessa indiana Noor Inayat Khan, che nella Francia occupata dai nazisti lavorò come operatore radio SOE in supporto alla Resistenza; la Venere Nera Joséphine Baker, che allo scoppio della seconda guerra mondiale senza alcuna esitazione si mise al servizio della Francia, la sua patria di adozione. E ancora, quanti conoscono la figura di Virginia Hall, la «signora che zoppica», spia del SOE e poi dell’OSS che divenne l’ossessione di Klaus Barbie (il famigerato boia di Lione), che non riusciva a capire come una donna, per di più con una gamba di legno, potesse tenere in scacco i servizi di sicurezza nazisti? E infine, per arrivare ai giorni nostri, lasciano a bocca aperta l’incredibile storia di Ana Belén Montes, che per anni dal suo ufficio nel cuore dell’intelligence statunitense , svolse attività di spionaggio per Cuba; e quella di Anna Chapman, conosciuta come Anna la Rossa, spia negli USA per conto di Putin, scoperta, arrestata e rimpatriata in Russia, dov’è ora una vera e propria star dei rotocalchi. Donne che, nel bene e nel male, sono state straordinarie: capaci di emergere in un settore dominato dagli uomini grazie alla loro tenacia, all’intelligenza, alla forza di volontà e all’astuzia.
Dopo la laurea in Scienze Politiche, ha vinto il concorso di ingresso nella carriera diplomatica. Ha prestato servizio a Le Havre (consolato), a Buenos Aires (ambasciata), a Bruxelles (NATO) e a Strasburgo (Consiglio d’Europa). Alla Farnesina ha ricoperto gli incarichi di Capo segreteria della direzione generale delle relazioni culturali, Capo segreteria della direzione generale del personale, Capo ufficio “Ricerca, Studi e Programmazione”, Ispettore delle Ambasciate e dei Consolati italiani all’estero. È stato quindi Console generale d’Italia a Nizza e a Madrid. Dal 2005 al 2009 ha ricoperto l’incarico di Ambasciatore d’Italia a Cuba. Ha ricevuto diverse onorificenze, tra le quali quella di “Chevalier des Palmes académiques” e di Commendatore al merito della Repubblica Italiana. Storico e saggista, ha collaborato a riviste di politica internazionale (Rivista di studi politici internazionali), di storia (Storia illustrata, Cronos, Rivista Marittima, Conoscere la Storia), di intelligence (Gnosis, Intelligence e Storia top secret). Collabora abitualmente con BBC History/Italia ed è autore di una trentina di saggi storico-politici. Si è inoltre interessato alle biografie di personaggi celebri, con particolare riferimento ai protagonisti dello spionaggio mondiale. Presso la Greco e Greco ha tra l’altro pubblicato: Richard Sorge, Kim Philby, Ana Belén Montes, Garbo, Storia degli agenti segreti dallo spionaggio all’Intelligence, XX destini straordinari del XX secolo. Presso Edizioni del Capricorno ha pubblicato “Le dieci operazioni che hanno cambiato la Seconda guerra mondiale” (2018) e “Le dieci spie donna che ha fatto la storia” (2019). sono iscritto all’albo nazionale analisti d’Intelligence (ANAI). Direttore editoriale delle collane, “Ingrandimenti” e “Affari Esteri”, presso gli editori “Greco e Greco” di Milano. La sua bibliografia completa (libri, ebook, articoli) può essere consultata sul suo website: www.domenicovecchioni.it.
Il 21 maggio ore 16.30 nel Teatro dell’Opera Alessandro Rivali presenta il libro: ”Ho cercato di scrivere paradiso. Ezra Pound nelle parole della figlia: conversazioni con Mary de Rachewiltz. (Mondadori). Interviene Carlo Sburlati.
Ezra Pound (Hailey 1885, Venezia 1972) è uno degli spartiacque della letteratura del Novecento: con l’epica dei suoi Cantos ha osato una Divina Commedia per il nostro tempo ed è stato, inoltre, un impareggiabile e generoso “cacciatore di talenti”. Fu tra i primi a riconoscere e promuovere il genio di Joyce, T.S. Eliot e Hemingway. Eppure, il suo nome divide ancora ed è circondato da fantasmi e logori cliché che impediscono di toccare il cuore profondo della sua poesia e della sua umanità.
Alessandro Rivali ha incontrato la figlia di Pound, Mary de Rachewiltz, nel castello di Brunnenburg, dove lei andò ad abitare nel dopoguerra, mentre il padre era detenuto nel manicomio criminale St. Elizabeths di Washington, accusato di tradimento dal governo americano. Proprio il castello avrebbe dovuto rappresentare un luogo dello spirito, una sorta di EzUversity. Del resto Mary aveva appreso da Pound quanto alto fosse il valore dell’insegnamento; lui, prima della guerra, aveva chiesto alla giovanissima figlia di affrontare la traduzione di alcune parti dei Cantos. La speranza di Mary era che, una volta libero, il padre potesse trovare rifugio nel silenzio di Brunnenburg e tornare a dedicarsi a ciò che più amava.
L’approdo al castello nell’estate del ’58 segnò in effetti una tappa decisiva nel lavoro di Pound, l’ultimo scorcio della sua vita lo avrebbe dedicato al compimento del “Paradiso”, la parte finale del suo poema: frammenti così densi di verità e tenerezza da diventare il suo testamento più sincero. Ancora una volta era Dante la misura della sua ambizione. Ed è proprio intorno alla sezione conclusiva dei Cantos e al senso di solitudine che Pound avvertì al suo ritorno in Italia che ruotano queste conversazioni tra Alessandro Rivali e Mary de Rachewiltz, iniziate ormai più di nove anni fa.
Un avvincente romanzo familiare e, allo stesso tempo, una immaginifica ascensione al Paradiso di Pound, per scovare infine quella luce che “come un barlume ci riconduca allo splendore”.