Come, purtroppo, non tutti sanno il 9 febbraio si sono aperti, a Pyeong Chang, in Corea del sud, i giochi delle Olimpiadi Invernali.
Un’apertura che si è rivelata gelida non solo per la temperatura, ma anche per la reazione del vicepresidente degli Stati Uniti Mike Pence. Alla cerimonia d’apertura, infatti, le due Coree hanno marciato insieme sotto la bandiera della penisola coreana e gli atleti indossavano tutti un cappotto bianco con un’unica parola sulla schiena: “Korea”. Non vi sono state differenziazione e neppure isolamenti, cittadini delle due nazioni separate hanno camminato gli uni affianco agli altri in pace.
Inoltre, dalla tribuna, la sorella del leader nordcoreano Kim-Jong-Un ha stretto la mano al presidente sudcoreano Moon Joe-In. Queste è solo l’ultimo di diversi tentativi di riavvicinamento tra le due Coree e, anche questa volta, gli USA si sono dimostrati diffidenti, come testimoniato dal comportamento del sopracitato Pence, che ha deciso di non presenziare alla cena seguita al gala ospitato dal presidente del Sud e dal quale è “fuggito” dopo cinque minuti, il tutto per evitare un incontro diretto con i capi delle delegazioni coreane.
Il vicepresidente americano non ha nemmeno partecipato alla foto di gruppo che vede Kim-Jong-Un e Moon Joe-In uno vicino all’altro.
È lecito pensare che questi gesti siano causati dai rapporti così tesi che ci sono tra gli USA e la Corea del Nord, viste anche le ripetute minacce tra il presidente Trump e Kim-Jong-Un. Ma è anche vero che un avvicinamento tale e una tale dimostrazione di pace erano molti anni che non si vedeva e percepiva.
È normale dunque chiedersi per quale motivo il rappresentante della delegazione americana abbia deciso di fare questo “sgarbo” ai due leader coreani in un momento tanto simbolico come quello delle Olimpiadi: le competizioni sportive sono da sempre infatti un momento per allentare, almeno momentaneamente, le tensioni tra i Paesi.
Ma nonostante le piccole tensioni presenti tra i diversi capi di stato, l’apertura si è dimostrata essere ciò che semplicemente lo sport vuole rivendicare; una faticosa prova di unione. Perché quei duemila atleti non lottano solo per se stessi, lottano per quel nome che portano sulla schiena, per quella bandiera che stringono tra le mani. Ma soprattutto questi cittadini del mondo combattono perché, per una volta, sono loro ad essere protagonisti della storia e possono impegnarsi per quel loro ideale comune.
Forse è alla luce di queste splendide verità che il vedere le due Coree unite sotto a quell’unica bandiera emoziona. Perché, forse, per una volta, i valori dello sport, i valori dell’umanità, hanno superato i confini scritti dalla politica. Finalmente c’è speranza e pace negli occhi di chi non crede ancora nell’unione dell’Umanità.
E allora “Evviva le Olimpiadi”.
Syria Raimondo