Dopo la vicenda della discarica di inerti di Rio Ciuvin, finita sulla scrivania della Procura per diversi e ormai noti presunti illeciti avvenuti nel corso di trent’anni e che hanno sotterrato due strade comunali, la società Idroedil rischia di passare nuovi guai per una vicenda molto simile.
Sempre in Valle Armea, proprio sotto il tanto discusso Lotto 6 della discarica di Collette Ozotto si trova l’ex Cava di argilla Bianchi.
Il terreno, oggi oggetto di verifiche, era di proprietà della Bianchi spa fino al 2000, passò prima alla Ecovit srl, poi alla Blue Investimenti spa e nel 2015 all’idroedil. Quest’ultime due società sono entrambe riconducibili alla famiglia Ghilardi.
La cava fu riempita regolarmente di terra ed inerti con l’autorizzazione della Regione. Le problematiche però nascono quando è stato accumulato materiale terroso attorno al buco dell’ex Cava Cianchi e precisamente in corrispondenza del mappale 164.
La vicenda, seppur non ottenne la giusta attenzione, è meno recente di quanto possa sembrare. Venne tutto a galla nel 2014 quando una frana creò non pochi danni ai terreni dei privati che si trovano proprio sotto l’accumulo di terra.
Come visibile in una recente relazione del ‘Settore servizi alle imprese, al territorio e sviluppo sostenibile servizio infrazioni e controlli’, le foto mostrano i pali della luce piegati dalla terra che spinge a monte. I pali sono stati cambiati a fine 2017, ma rimangono ancora le basi dei vecchi tralicci. Impressionante è, invece, vedere querce secolari crollate.
I sopralluoghi fatti portarono a chiarire la situazione che è stata riassunta nella relazione poco prima citata del 25 agosto scorso firmata dal geometra del settore difesa del suolo delle provincie di Savona e Imperia, Fulvio Battistotti, e dal sovrintendente capo della polizia municipale Carlo Giuseppe Patriarca.
Nel documento si legge: “È tuttora evidente l’attività franosa in atto. Talle movimento tra origine dall’accumulo di materiale terroso scaricato e abbancato.”
Nella relazione si legge anche come l’area sia ricca di acqua: “Si è potuto accertare la presenza di due bottini di presa di sorgenti comunali attive. Non vi è traccia di altro manufatto censito a catasto fabbricati mappale 165 di proprietà comunale, esistente nel mappale 164 censito a catasto terreni, anch’esso presa d’acqua sorgiva.”
Insomma, nell’abbancare terra è stata sepolta una sorgente, oltre ad essere stati eliminati canali di scolo. Il risultato è che quando piove l’acqua si spande provocando danni e, con ogni probabilità, la frana del 2014.
La relazione si conclude con queste parole: “Si rileva un cospicuo accumulo di materiale terroso di ignota provenienza che successivamente all’anno 1975 ha raggiunto spessori massimi variabili dai 6 agli 8 metri di altezza. L’esterno del perimetro di cava autorizzato determina una situazione di potenziale elevato pericolo in quanto sono presenti case e attività agricole.”
Dal 2014 i proprietari dei terreni sottostanti si battano per avere risposte e pretendono una soluzione. Decine e decine le lettere inviate in Comune, regione e provincia, alla prefettura, alla Blue Investimenti prima e all’Idroedil dopo. Ma nulla si è mai mosso.
Essendo la relazione dell’agosto scorso indirizzata alla Polizia Municipale e al dirigente del Settore di Palazzo Bellevue, abbiamo contattato il comandante Claudio Frattarola e il dirigente del comune l’ing. Danilo Burastero. Il primo, dopo aver svolto alcune verifiche, ha assicurato che vi sono in corso delle indagini e, se queste risulteranno in illeciti e reati, sarà loro premura segnalare la situazione alla Procura.
L’ingegner Burastero, dirigente del settore da appena 2 mesi, ha confermato come si potrebbe essere davanti a diversi reati. Quello edilizio, perché mancherebbe l’autorizzazione all’abbancamento di terreno, e quello paesaggistico, perché la zona è sottoposta a vincoli.
“Nelle prossime settimane – ha detto – sarà nostra premura emanare un’ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi. Seguirà inoltre una valutazione di un geologo per capire la portata del rischio e l’urgenza del ripristino.”
Dopo aver interrogato gli uffici del Comune, Riviera time ha anche sentito l’amministratore di Idroedil il dr. Sergio Tommasini che ha commentato: “Attendiamo di leggere le carte del Comune di Sanremo e confermo che noi abbiamo agito nel rispetto delle vigenti normative. Posso aggiungere che il Settore Attività Estrattive della Regione Liguria, dopo aver condotto un iter lungo e minuzioso, ha emesso provvedimento di chiusura della cava Monte Bersagliè decretando la corretta esecuzione dei lavori e il completo ripristino ambientale dell’areale. Ritengo pertanto di attendere per capire le reali intenzioni del Comune”.