È un attimo, un istante fulmineo che può passare alla storia o può essere dimenticato 0.1 secondi dopo averlo scattato. È quell’immagine che hai rincorso per tutta la vita, è la perfezione, oppure è l’ennesima, sfocata e -forse- senza senso.
È il mondo della fotografia, dell’inquinamento visivo, come sarebbe opportuno chiamarlo. È molto, molto difficile -oggi- trovare uno scatto che impressioni, che ricorderemo sempre con le stesse emozioni o che ce ne susciterà di nuove ogni volta che la rivedremo.
Le foto hanno ancora un senso al di là di “guarda cosa sto facendo!”, di “guarda quanto sono bello!”?
Esistono ancora coloro che riescono ad apprezzare un’inquadratura non tanto per il soggetto, per le luci od i colori -sempre più saturati ed esasperati- ma per il messaggio, per le emozioni che vuole trasmettere?
Ora con un telefono in mano nessuno è un fotografo e tutti sono fotografi.
Con un telefono nessuno può comunicare nulla e tutti possono dire qualcosa.
In un certo senso -purtroppo- la sempre maggiore disponibilità di mezzi, sempre di più e sempre più potenti, sta portando la creatività e la fantasia a soccombere alle foto “di massa”: selfie, volti sorridenti, foto di gruppo e di bei panorami…
Sono i social? È la quantità esasperante di immagini dalle quali veniamo bombardati ogni giorno? Qualcosa sicuramente sta limitando e portando il nostro occhio ad annichilirsi, seppure questo ostenti la ricerca di colori, composizioni e storie autentici. Sia per chi sta dietro, sia per chi sta davanti all’obiettivo ed anche per chi poi guarda ciò che viene fuori, il gioco non solo cambia continuamente, ma è completamente indefinito e soggettivo.
Questo è ciò che oggi è la fotografia.
Un gran pasticcio, ad essere sinceri. È molto facile ricevere dubbi o commenti negativi per un’immagine molto studiata, significativa ed emozionante, ma non lo è ottenere grandi complimenti per uno scatto piuttosto insensato ma in cui si nota un particolare effetto tecnico o luminoso. Temo che sia proprio questo “l’errore” che sta portando tutti ad avere una sbagliata concezione di “bellezza” guardando un’immagine: l’assenza di messaggio. Guardiamo la timeline del nostro Instagram o Facebook imbattendoci in 30, 40 immagini ogni minuto; scorriamo, scorriamo, scorriamo e scorriamo ancora, non c’è fine, possiamo, finché vogliamo, avere nutrimento per le nostre pupille affamate di qualcosa da vedere. Non importa cosa sia, non importa il perché; ci importa chi, magari dove, soprattutto ci importa sbirciare quello che succede quando qualcosa o qualcuno ci interessa. Se scomparissero, di colpo, da ogni social, tutte le foto, cosa accadrebbe?
Scritte, scritte, scritte. Nulla di che. Le immagini ritornerebbero ad essere unicamente quelle che scattiamo noi, che vediamo alle mostre, o che possiamo toccare e sfogliare su libri fotografici. Le immagini tornerebbero ad essere quelle tangibili, quelle profonde, quelle create da qualcuno con un purpose, un sentimento che spinge loro a scattare per cercare di trasmetterlo e condividerlo. Guardare tante foto è sbagliato? No, nulla è sbagliato, nulla, quando si progredisce verso nuovi orizzonti della tecnologia e della società può essere del tutto compreso e difficile è discernere il corretto dall’errato. Ciò che occorre a tutti noi è la consapevolezza, il pensiero ricorrente, prima di premere il pulsante che scatterà una foto, prima di cominciare a sfogliare un album fotografico, prima di metterci in posa e sorridere, che quello che stiamo per fare abbia un motivo. Non dobbiamo fare foto perché vogliamo “fare una foto”, ma perché vogliamo immortalare un momento e con questo intrappolare un sentimento, l’istante che riempie di vita un ammasso colorato di pixels.
Tommaso Marmo – Ufficio Stampa Liceo G.D. Cassini Sanremo